No, non puoi più uccidere un basco nei fiordi dell’ Ovest.

Viaggiare è una cosa meravigliosa.
Si vedono posti incredibili, si conoscono persone del luogo e si impara sempre qualcosa di nuovo.

Tra le ultime cose che l’Islanda mi ha insegnato la più curiosa è questa: dal 2015 non puoi più uccidere un basco nei fiordi dell’ Ovest.

Ma facciamo un passo indietro…

Sin dall’anno 670 le flotte navali basche solcavano i mari alla ricerca di balene.
Le acque nelle quali pescavano maggiormente erano quelle di Terranova e Labrador (lo so che avete pensato ai cani ma qui si parla di una provincia orientale del Canada).
Avevano oltre 30 navi e navigavano con centinaia di uomini capaci di uccidere e trasformare in merce preziosa fino a 400 balene all’anno.

Una pubblicità di corsetti con stecche in fanone

Il grasso di balena veniva venduto a caro prezzo e trasformato in olio per lampade, candele e saponi.
Le ossa diventavano utensili. Potremmo definire le ossa di balena “la plastica antica“.
Venivano trasformate in oggetti di uso comune quali scodelle e mestoli o in articoli pregiati quali bastoni da passeggio, scacchi, tasti per pianoforte.
Per gli utensili che avevano bisogno di una certa elasticità si usava il fanone: quella specie di “mega spazzolone” che hanno alcune specie di balena al posto dei denti.
Con quello, molto elastico e resistente al tempo stesso, si realizzavano le stecche dei corsetti, i tendicollo delle camicie, pettini, ombrelli e molto altro.
La carne veniva conservata sotto sale ma non era considerata pregiata.

I baschi e l’Islanda

All’inizio del 17° secolo le balene cominciarono a scarseggiare.
Non è difficile comprenderne i motivi, con quei ritmi di caccia.
I baschi furono costretti a spostarsi in nuovi territori. Scelsero le acque delle Svalbard, della Norvegia settentrionale e dell’Islanda.

Illustrazione di Jón Guðmundsson lærði

Nell’Aprile del 1615 tre baleniere basche salparono dal porto di San Sebastián.
Dopo aver navigato per 540 leghe, a metà Giugno, raggiunsero le coste della penisola di Strandir nei fiordi dell’ovest.

A bordo, 86 uomini 31 dei quali non sarebbero mai più tornati a casa.

Arrivati sulla costa, tre capitani vennero scortati a riva a bordo di scialuppe.
Due di loro, Pedro de Aguirre e Esteban de Tellaria, erano esperti e rispettati.
Il terzo, Martín de Villafranca , appena ventisettenne, si era imbarcato all’ultimo minuto per sostituire il più qualificato Juan de Argarate, impossibilitato a partire.

Sulla nave di quest’ultimo il pilota nautico Pierre, fidato collaboratore del Capitano Juan de Argarate, si era dapprima rifiutato di partecipare alla spedizione.
Dal suo punto di vista il giovane non aveva abbastanza competenza né rispetto da parte dell’equipaggio.
Si fece convincere dall’amico Juan e partì comunque per quello che si rivelò essere il suo ultimo viaggio.

Rapporti amichevoli 

Illustrazione di Guillermo Zubiaga

I baschi instaurarono ottimi rapporti con gli islandesi: pagavano seicento monete d’argento ogni estate per il diritto di caccia alle balene, per il diritto di sbarcare sulla terraferma, per poter creare forni (così da poter sciogliere il grasso in olio e conservarlo in barili) e per poter raccogliere legna.

Queste tasse venivano pagate direttamente ad Ari Magnússon, magistrato della zona, che in barba al monopolio danese (l’Islanda a quel tempo dipendeva dal Re di Danimarca) si metteva in tasca tutto quanto in gran segreto.

I cacciatori di balene erano soliti passare l’estate lungo le coste islandesi per poi, a Settembre, ripartire verso casa.
Negli anni i rapporti tra i locali e questi uomini del sud erano sempre rimasti civili: si effettuavano scambi convenienti per la popolazione autoctona.
La Danimarca aveva espressamente vietato, con una legge dell’Aprile 1615, che gli islandesi commerciassero e comunicassero coi baschi dunque era una grande occasione quella di poter scambiare merci col benestare di un politico corrotto e senza alcun intermediario.

Uno dei glossari

Nel tempo si creò anche un pidgin: un idioma molto semplice nato dalla mescolanza della lingua islandese e basca.
I locali e i balenieri riuscivano a comunicare discretamente: sono diversi gli esempi di glossario che possono raccontarci di come questi due popoli arrivarono a costruire parole che potessero permettergli di interagire, commerciare e…mandarsi a quel paese.
Sì, tra le frasi che potrete imparare in pidgin basco-islandese figurano anche le utilissime “baciami il deretano”, “vai a fare all’ammòre con un cavallo” e “mangia cacca” (la versione originale risulta meno elegante ma non mi pareva il caso di trascriverla).

Si rompe l’idillio

Una scena dal docufilm Baskavígin 1615

Come altri prima di loro, anche gli equipaggi di Pedro, Esteban e Martín passarono tre pacifici mesi di convivenza coi locali a Reykjarfjörður.
Il clima tra i due popoli era sereno. L’unico particolarmente restio ad instaurare rapporti amichevoli era il Pastore Jón Grímsson, luterano, che non vedeva di buon occhio la fervente fede cattolica dei balenieri.
Tutto andava comunque per il meglio. Fino a che dei membri dell’equipaggio di Martín de Villafranca si introdussero in una casa e rubarono del pesce secco.
Come previsto da Pierre il pilota, l’autorità del giovane capitano non venne percepita da parte di alcuni dei suoi uomini che cominciarono a disattendere le regole.

Cominciarono così i primi dissapori tra i due popoli.
Poco prima del rientro dei baschi verso casa, un islandese rubò loro un grosso pezzo di grasso di balena.

Martín de Villafranca lesse in quel gesto una vendetta: pensò che fosse un furto commissionato dal Pastore Jón Grímsson il quale da sempre non vedeva di buon occhio i balenieri.

La notte prima della partenza verso San Sebastián, per liberarsi da quello che per lui evidentemente era un peso, il giovane Martín litigò col Pastore.
Lo accusò di non avergli dato quanto dovuto (un vitello) e di aver spinto qualcuno a rubare il loro prezioso grasso. Lo minacciò mostrandogli un cappio, ottenne la sua promessa di pagargli quanto dovuto e tornò alle navi a festeggiare coi compagni.
Avevano caricato tutta la merce, pronti per partire la mattina successiva.
Brindarono col sidro, mangiarono di gusto ma la festa durò poco.

Una sorpresa devastante

La notte del 19 Settembre 1615 una terribile tempesta si abbatté sulle navi dei balenieri.
Degli iceberg vennero scagliati dalle onde sulla flotta, distruggendola.
Tutta la merce era andata perduta, sul fondo dell’oceano.
Tre uomini avevano perso la vita nel tentativo di salvare le navi.

Quando tutto sembrava perduto si presentò Jón Grímsson per pagare il suo debito.
L’uomo scrisse una lettera “di protezione” che permise ai poveri naufraghi di poter passare più tempo sull’isola: secondo una legge danese divulgata durante l’assemblea generale di Þingvellir nell’Aprile 1615 gli Spagnoli ed altri che depredavano” non potevano restare in territorio islandese.
Avrebbero dovuto essere catturati e puniti. Il permesso abusivo venduto loro da Ari Magnússon era valido solamente per l’estate.

In realtà l’interesse del Pastore era solamente quello di allontanare i balenieri dalla zona.
Li indirizzò nel fiordo di Jökulfirðir, dicendo loro che un cugino residente nella fattoria di Dinjandi possedeva una barca che li avrebbe potuti portare nei Paesi Baschi.

Era una bugia: il cugino aveva una barca ma era un piccolo Cutter, assolutamente non adatto per una traversata simile.

Gli 83 balenieri partirono a bordo delle 8 scialuppe sopravvissute al naufragio.

Bugie

Una scena dal docufilm Baskavígin 1615

Il Pastore mandò immediatamente un messaggero dal magistrato Ari Magnússon.
Gli scrisse che Martín aveva tentato di strangolarlo in pubblico, raccontò che i baschi erano bloccati in Islanda e stavano depredando la popolazione.

Intimorito da quel che avrebbe potuto accadere se al Re danese fosse arrivata notizia dei permessi di caccia che aveva venduto abusivamente ai balenieri, Ari scelse la strada più semplice: cercò di fare piazza pulita.

Emanò un decreto, basandosi sulla legge danese, secondo il quale gli islandesi dovevano attaccare le navi ed uccidere i baschi ad ogni costo.

L’Islanda a quel tempo era vittima di razzie e rapimenti da parte dei pirati (vi consiglio di ascoltare il Podcast di EPI “Pirati, Islanda e…Livorno”) e non fu difficile aizzare la popolazione, spaventata, contro i balenieri.

Una fine crudele

Una scena dal docufilm Baskavígin 1615

Arrivati alla fattoria Dinjandi, distrutti da freddo e fame, gli 83 uomini si resero conto della triste realtà: non solo il Cutter era piccolo ma versava anche in condizioni non esattamente eccezionali.

Non si sa cosa accadde di preciso ma gli equipaggi si divisero.
Era il 28 Settembre quando gli uomini di Pedro de Aguirre e Esteban de Tellaria, 51 in totale, navigarono fino a Patreksfjörður.
Gli uomini di Martín de Villafranca invece si divisero in due gruppi di 14 e 18 persone.
Un gruppo andò a Bolungarvík, l’altro sull’isola di Æðey.

Il 5 Ottobre il gruppo di Bolungarvík, colpevole di aver rubato del pesce secco per sopravvivere, fu vittima di un’imboscata letale.
Si salvò solo un uomo di nome Garcia che riuscì a raggiungere Pedro ed Esteban.

Lo presero a bordo ma nonostante egli avesse raccontato loro che gli islandesi volevano ucciderli i capitani decisero di non tornare ad Æðey per avvisare Martín.

Dopo aver ricevuto la notizia del massacro di Bolungarvík, Ari Magnússon organizzò un processo durante il quale dipinse i baschi come ladri pericolosi, capaci di attaccare donne, bambini e anziani. Invitò gli attendenti ad uccidere i balenieri senza indugio.

Ari ed il Pastore radunarono col ricatto un esercito di 53 persone: qualora non si fossero presentate a combattere avrebbero dovuto pagare personalmente per i danni perpetrati dai baschi.

Venne mandata una piccola barca in avanscoperta verso l’isola di Æðey.
Scoprirono così che Pierre il pilota viveva con altri 4 uomini in due capanne sulla piccola isola mentre Martín e gli altri si erano stabiliti a Sandeyri, dove stavano lavorando su una balena che erano riusciti a catturare.

Una scena dal docufilm Baskavígin 1615

La notte del 13 Ottobre Ari, scortato dal Pastore e dal suo esercito di 53 fattori, diede ordine di attaccare il gruppo di Pierre.
Gli uomini vennero colti nel sonno, uccisi, smembrati ed i loro resti vennero gettati in mare.

Desideroso di portare a termine l’opera, l’esercito si diresse immediatamente verso Sandeyri.
I dodici uomini di Martín si rifugiarono in un cottage mentre lui, armato di una pistola, uscì allo scoperto e tentò di parlare col Pastore.
Si scusò per averlo minacciato con quel cappio. Si inginocchiò, chiese perdono.
Il Pastore finse di perdonarlo e gli chiese di deporre le armi.

Martín, fiducioso, poggiò la pistola a terra e venne colpito da un’ascia su una clavicola.
Compreso ormai che non avrebbe mai ottenuto il perdono si lanciò nell’oceano cantando, si dice, in latino.
La folla gettò le barche in mare per seguirlo.
Lo colpirono con dei sassi fino a stordirlo e lo trascinarono a riva per ucciderlo. Dispersero in mare i suoi resti, ridotti in pezzi.

La stessa sorte toccò ai dodici che nel mentre avevano tentato di barricarsi nel cottage chiudendolo con delle pietre.
Gli islandesi rimossero parte del tetto di torba in modo da poter vedere all’interno dell’edificio.
Il figlio di Ari, salito sul tetto, si occupò personalmente di sterminarli uno ad uno con l’utilizzo di armi da fuoco che venivano ripetutamente caricate dai compagni.

Finita la mattanza ci fu una settimana di festeggiamenti.

I sopravvissuti

Il gruppo di Pedro ed Esteban si insediò a Vatneyri in una casa di mercanti che durante l’inverno restava inutilizzata.
Pescarono e cercarono cibo nelle vicinanze. Sopravvissero ad una lunga stagione durissima.

All’inizio del 1616 Ari convocò un’ assemblea al tribunale di Mýrar per condannare anche loro a morte.
La fortuna di questi uomini fu che a causa della neve nessuno riuscì a raggiungerli.

Una mattina videro all’orizzonte un vascello inglese.
Si fecero coraggio e lo raggiunsero a bordo delle loro ormai provate imbarcazioni.
Vennero tratti in salvo ma nessuno sa se riuscirono mai a tornare a casa.

Non tutti erano “anti baschi”

Una scena dal docufilm Baskavígin 1615

Anzi! I baschi erano prevalentemente benvoluti da chi aveva avuto a che fare con loro.
Ragnheidur, la madre di Ari, fu una grande sostenitrice. Preparava loro del cibo e li aiutava. Lo riteneva uno dei suoi compiti da buona cristiana.

Jón Guðmundsson lærði, brillante studioso autodidatta, fu l’unico a criticare pubblicamente le azioni di Ari.
Fu personalmente presente durante quei lunghi mesi e produsse dettagliati manoscritti, dai quale sono tratte queste informazioni, coi quale descrisse puntigliosamente quanto accaduto nella realtà.
Se i fatti che ho riassunto vi incuriosiscono e volete approfondirli, questo è il libro che raccoglie la testimonianza di Jón.

Incredibilmente, il rapporto tra balenieri baschi ed islandesi è andato avanti per circa cento anni dopo quei giorni sanguinosi.

L’abrogazione del decreto nel 2015

Questa è la triste storia di come interesse e paura possano portare a degli scontri evitabili.
Non si parla spesso del massacro dei baschi ma a 400 anni da quel tragico evento Jonas Gudmunsson, il magistrato dei fiordi dell’Ovest, ha ufficialmente abrogato il decreto emanato dal suo predecessore Ari in presenza di Martin Garitano, governatore di Gipuzkoa.

In realtà, ovviamente, non era già più possibile uccidere nessuno da lungo tempo ma è sembrato corretto depennare formalmente quel che ancora, sebbene incostituzionale, resisteva dimenticato.

Nella cittadina di Hólmavík è stato eretto un monumento: una pietra con una placca a memoria dei balenieri uccisi.
Riporta brevemente quanto accaduto in quattro lingue: islandese, basco, spagnolo e inglese.

Attorno al monumento due grosse coste di balena, delle pietre, del legno e dei mattoni: gli stessi coi quali i baschi costruivano le loro fornaci per sciogliere il grasso in olio.

Adesso sapete perché dal 22 Aprile 2015 non è più possibile uccidere un basco nei fiordi dell’ovest.

Come sempre il mio consiglio è quello di godere dei paesaggi e della ricca storia di questa terra incredibile che è l’Islanda uccidendo l’unica cosa che vi verrà naturale uccidere da queste parti: lo stress!

E le balene? Le balene lasciamole in vita.
Se volete conoscerle da vicino date un’occhiata ai consigli che vi ho lasciato in “Le balene in Islanda: quali e dove?”


Fonti:
McNamara, Robert. “Objects Made From the Whaling Industry.”

Daviðsson, Ólafur. 1895. Víg Spánverja á Vestfjörðum 1615 og ‘Spönsku vísur’ eptir séra Ólaf á Söndum. Tímarits hins ísl. Bmf.,vol. 16. (1895). 88-163.
Gunnarsson, Gísli. 2002. Afkoma og afkomendur meiri háttar fólks 1550-1800. In Halldórsdóttir (Ed.). 2002. 118-132.
Halldórsdóttir, Erla Hulda (Ed.). 2002. Íslenska söguþingið – Ráðstefnurit II: Auður, vald og menning 1550-1800. Reykjavík:Sagnfræðistfnun Háskóla Íslands.
Hermannsson, Halldór. 1924. Jón Guðmundsson and his Natural History of Iceland. Ithaca, NY: Cornell University Library
Icelandic -Basque pidgin – Josè Ignacio Hualde – University of Illinois
Jon Gudmundsson’s Laerdi’s True Account and the Massacre of Basque Whalers
Guðmundsson, Helgi, “Um þrjú basknesk – íslensk orðasöfn frá 17. öld”, Íslenskt mál og almenn málfræði, I.árg., Reykjavík 1979
Basque Whaling Around Iceland – Archeological Investigation in Strákatangi, Steingrímsfjörður
Kurlansky, M., The Basque History of the World, London 2000.