L’iconico maglione islandese: la lopapeysa!

Quando si parla di Islanda è sempre lì. Come il prezzemolo.
Infesta i profili degli instagrammer islandofili al pari degli impermeabili gialli ma questo maglione islandese non è solo un’icona. La lopapeysa non è l’ennesimo pezzo di abbigliamento inutile ma fico a vedersi.

Dopo l’uscita dell’articolo sui migliori souvenir da comprare in Islanda mi avete scritto davvero in tanti per chiedermi informazioni più dettagliate, e allora conosciamolo meglio!

Le origini

No, le lopapeysa come le conosciamo noi non sono antiche. Non quanto molti di noi penserebbero.
Ovviamente le maglie di lana hanno scaldato gli islandesi dai tempi antichi ma fu solo attorno al 1950 che il mondo occidentale cominciò a sfoggiare i maglioni come capi potenzialmente “di moda”.

Non erano più solo capi d’abbigliamento destinati a scaldare i lavoratori ma anche veri e propri pezzi trendy.
Gli islandesi, che erano degli sferruzzatori professionisti, iniziarono a personalizzare i loro con quello che poi è diventato il famoso decoro attorno al collo e alle spalle.

In una ventina d’anni la popolarità di questo capo aveva raggiunto l’apice.
Non solo piaceva perché era caldo, idrorepellente e bello.
Piaceva anche perché era diventato un’icona.
Rappresentava l’identità nazionale (che l’Islanda sentiva forte e chiara, considerato che aveva ottenuto l’indipendenza dalla Danimarca solo nel 1944) e tutti ne possedevano uno.

Qualche curiosità tecnica

Lopapeysa significa “maglia di lana lopi”.
La lana “lopi” con la quale si fa questo iconico maglione islandese altro non è che lana non filata.
Nell’articolo sulle pecore troverete informazioni e dettagli sulla speciale lana di questi ovini e  su uno dei curiosi metodo di tosatura utilizzato nell’antichità.

Questo tipo specifico di filato è nato nei primi del 1900 quando qualche donna “pigra” cominciò a lavorare a maglia direttamente con lana non rifinita tramite filatura.
Se Aurora de “La bella addormentata nel bosco” avesse fatto come questa donna sarebbe rimasta sveglia. Un punto per la donna pigra islandese, zero per Aurora.

Potrebbe sembrare che una lana non filata sia troppo fragile, e invece risulta morbida, versatile e resistente. 
Se tirato, il semplice filo si sfibra facilmente ma una volta lavorato a maglia (per magiche questioni concernenti la fisica delle fibre ed i punti di tensione) risulta incredibilmente forte.

Foto di Visit West Iceland

Uno dei benefici di questo maglione islandese è che su questo tipo di lana i batteri non si attaccano come fanno sugli altri materiali.
Salvo “sporco importante”, vi basterà mettere a prendere aria il vostro capo per farlo tornare fresco.
Non vi dico come mi hanno guardata le signore che hanno fatto i miei quando ho chiesto loro “ma come li lavo?”. La risposta è stata un secco “non li lavi”.
A me, italiana con la nonna che avrebbe buttato in lavatrice e candeggina Ace Gentile pure i miei stessi capelli, è sembrato davvero molto strano ma questo è quanto: i maglioni islandesi non vengono lavati molto.
A volte non vengono lavati affatto in tutta la loro vita di maglione.
Se necessitano di una lavata il consiglio è quello di farla rigorosamente a mano e con delicatezza.

Questi maglioni si fanno rigorosamente con più coppie di ferri circolari: ferri da maglia corti uniti tra loro da un cavo.
Per me che non so manco fare un nodo, con la lana, è fantastico assistere alla produzione di un maglione.
Se voi, invece, foste tra coloro che sanno domare il pecoreccio vello e tramutarlo in un capo d’abbigliamento, sono lieta di informarvi che è possibile acquistare libri e schemi che vi permettono di sferruzzare il vostro maglione.

Di che colore?

Ovviamente i colori “originali” sono quelli naturali della lana: bianco, giallo, nero e marrone ruggine. Possono essere mescolati tra di loro per ottenere diverse sfumature.

Oggi la lana viene tinta in tutti i colori possibili e immaginabili ma…come facevano colorarla, nei tempi passati?

Con ingredienti naturali:

  • empetro per il colore viola
  • mirtilli per il blu
  • muschio, licheni e ranuncoli per le sfumature del giallo
  • pentolone di rame riempito con ortica e…vecchia urina fredda per il verde
  • urina fresca di mucca per il rosso 

Alla difesa della Lopapeysa!

lo storico momento della richiesta del marchio registrato: le richiedenti e l’avvocato col quale hanno fatto domanda.

Si sa: il turismo porta denaro e spesso i turisti sono solo parzialmente informati sull’origine dei loro souvenir.

Qualcuno (ma in particolar modo una nota azienda che possiede una catena di negozi) ha cavalcato l’onda della popolarità di questo maglione e lo ha, in qualche modo, taroccato.

Come? Portando la lana islandese in Cina e facendo produrre a macchina migliaia di “falsi”, non per questo venduti esattamente a due spicci.

Ad un occhio inesperto sembrano uguali e le etichette recitano un fumoso “designed in Iceland”.
Furbacchioni!
Ora: sia chiaro, non è vietato comprare un prodotto made in China ma è sempre bene essere coscienti di quel che si sta acquistando.

A causa di queste furbate, dal 20 Febbraio 2020 la “Íslensk lopapeysa – Icelandic Lopapeysa” è protetta e per potersi chiamare così deve aderire a queste condizioni:

  • la lana deve provenire solo e unicamente da pecore islandesi
  • la lana deve essere nuova, non riciclata da altri capi dismessi
  • il maglione deve essere composto al 100% da lana lopi (Plötulopi classica non filata, léttlopi più leggera or Álafosslopi più pesante)
  • il maglione deve avere il classico decoro che cinge il collo e le spalle
  • il maglione deve essere lavorato a mano in Islanda
  • il maglione non deve riportare cuciture, deve essere prodotto in un pezzo unico, maniche incluse
  • il maglione può essere intero o aperto (se si produce un cardigan bisognerà creare un maglione intero, classico, per poi tagliarlo a metà ed aggiungere successivamente bottoni o cerniera)

Don’t try this at home.

Appurato che qualsiasi cosa prodotta senza aderire alle condizioni che abbiamo appena visto non sarà mai, in termini di legge, una Lopapeysa islandese, possiamo tentare di ricreare il nostro maglione islandese a casa grazie a un pescatore di Isafjörður.

Nel 2011 il Sig. Sverrir ha sviluppato Knitting patterns: un programmino che doveva aiutare la moglie e i familiari a progettare facilmente pattern per le proprie maglie.
Visto il successo ottenuto tra i conoscenti Sverrir ha messo tutto online ed è possibile fruire del suo prezioso lavoro gratuitamente.

Il sito internet permette di scegliere tra i modelli di maglia, le taglie e i colori di lana affinché chiunque possa disegnare facilmente un modello 3D personalizzato.

Oggi il sito è datato: per funzionare richiede l’ormai “deceduto” plugin Silverlight ma con un po’ di accortezze funziona benissimo (bisogna lanciarlo su Internet Explorer o una vecchia versione di Firefox).
Ci sono dei comodi tutorial video coi quali Sverrir ci spiega come usare la sua geniale creatura e disegnare qualsiasi decoro: ho visto realizzare maglioni persino con pesciolini e teschietti!

Shopping: dove?

Vi consiglio di visitare l’articolo sui migliori souvenir da comprare in Islanda per avere qualche suggerimento mirato a riguardo.

La raccomandazione generale per avere un maglione islandese di alta qualità, comunque, è quella di evitare le catene e rivolgervi a piccoli lavoratori a maglia indipendenti, associazioni e privati.
Leggete sempre bene le etichette e fate mille domande, chi lavora con onestà e passione sarà felice di dimostrarvelo.

Vale la pena di investire in questo maglione islandese?

Non sono esattamente super partes, lo confesso. Però vi rispondo: sì, vale la pena.
Sebbene sia distante dall’essere economico, vale quel che costa e anche di più.

Vi consiglio sempre (come avete visto sia nei consigli per l’ estate che in quelli per l’ inverno) di vestirvi a strati e qui le pecore lo fanno per noi!
Questa preziosa fibra offre uno strato superficiale idrorepellente e uno strato interno caldo e traspirante.

Certo non vi dico “uscite ignudi con solo un maglione addosso che andrà tutto a meraviglia” ma vi assicuro che questo capo sarà un jolly insostituibile.
In Italia lo uso direttamente al posto del cappotto.
In Islanda mi tiene compagnia in tutte le stagioni: come strato caldo per i momenti più freddi dell’estate (con sopra il guscio impermeabile in caso di diluvio universale) e come strato intermedio in inverno, sotto una giacca.

Potrà non essere il maglione più soffice che abbiate mai avuto, vi consiglio di indossare sotto qualcosa per evitare l’effetto pruriginoso, ma sicuramente sarà il più caldo.

E poi se vorrete una scusa per tornare in Islanda potrete sempre buttarlo accidentalmente in lavatrice, rovinarlo ed avere assolutamente bisogno di comprarne uno nuovo!


Fonti:
Museo del tessile “Heimilisiðnaðarsafnið” di Blönduós
Handprjónasambandið – associazione della lavorazione della maglia a mano
Guðrun Helgadóttir. “Nation in a sheep’s coat: The Icelandic sweater.” FORMakademisk vol. 4 nr. 2 (2009)
Bertram, Laurie. “Power Patterns: Discussing the Icelandic Sweater and the Greenlandic Nuilarmiut at the Pitt Rivers Museum.” Object Lives and Global Histories in Northern North America. September 9, 2015
Elsa E. Guðjónsson. “The Origins of Icelandic Knitting.” In Knitting with Icelandic Wool, 9–20. Reykjavík: Vaka-Helgafell, 2013.