Ormai lo sapete: le pecore dell’isola sono più degli islandesi stessi e pascolano libere per diversi mesi l’anno.
Cosa c’entra questo con l’erosione in Islanda? Più di quanto immaginiate.

Terra d’Islanda

L’Islanda, in termini di clima, geologia e biodiversità, è unica al mondo.
Il paesaggio che vediamo oggi è frutto di un mix di fattori naturali: ghiacciai, vulcani e clima rigido.
A questo s’è aggiunta l’attività umana: sono stati tagliati gli alberi e sono state fatte pascolare le pecore!

Non è un segreto che l’isola sia scarsamente popolata (parliamo di circa 365.000 abitanti la maggioranza dei quali risiete nella zona della capitale)
Il resto della popolazione risiede in piccole città e fattorie isolate situate nelle zone pianeggianti lungo la costa. E l’entroterra?
L’entroterra (circa il 75% dell’isola) è disabitato.
Con le sue lande e zone umide somiglia alla tundra ed ha grandi porzioni di deserto scarsamente vegetato.

La natura vulcanica dell’isola rende il suolo tutto speciale.
La terra che si trova in Islanda è un cosiddetto andosuolo: ricco in nutrienti ma decisamente scarso quando si parla di coesione.
Quando viene esposto ad agenti quali acqua e vento si erode molto facilmente.

L’impatto delle pecore

Ricapitolando brevemente, l’Islanda è un’isola difficile per la vegetazione.
La stagione “calda” è molto breve e le piante hanno poco tempo per poter entrare in fase di crescita, soprattutto nell’entroterra.
La terra è friabile, è difficile che un germoglio riesca a crescere senza problemi.
I vulcani…fanno i vulcani! Cenere e depositi danneggiano irrimediabilmente la vegetazione, soffocandola.

E poi ci si mettono loro: le pecore!
Che ci crediate o no, queste belle creature dalla morbida e calda lana, con i loro musetti simpatici sono uno dei maggiori responsabili dell’erosione in Islanda.

Sono arrivate sull’isola coi coloni poco più di mille anni fa.
Prima di allora, il territorio islandese non era mai stato calpestato da grandi erbivori e la vegetazione che lo ricopriva era cresciuta indisturbata dall’ultima Era Glaciale fino a quel momento.
Il punto di non ritorno per l’ecosistema delle foreste, che secondo gli esperti ricopriva circa il 24% dell’isola, giunse proprio a causa di una involontaria cooperazione umani-pecore.

Secondo le Saghe e le analisi degli strati di cenere vulcanica sempre più poveri di polline, gli umani tagliarono gli alberi (per il fuoco, per costruire e per liberare aree e farne spazi dedicati al pascolo) ignari del fatto che su quella terra “nuova” non sarebbero ricresciuti con la stessa velocità con la quale crescevano altrove.

Le pecore peggiorarono la situazione facendo quello che fanno ancora oggi: pascolando!

Le iconografiche pecore islandesi smangiucchiano ed estirpano qualsiasi forma di germoglio ai loro occhi interessante.
Se già mangiarsi indiscriminatamente la vegetazione non aiuta di certo, aggiungiamoci che col loro costante calpestio impediscono anche la formazione di croste biologiche del suolo (un insieme di organismi viventi quali muschi, licheni, alghe, microfunghi e cianobatteri), fondamentali per fornire nutrienti alla vegetazione e limitare l’insinuarsi del ghiaccio in profondità.

Milioni di zampette mettono a dura prova il terreno e la flora.

La corsa ai ripari

Verso la fine del 19° secolo fu evidente che il degrado ambientale fosse ormai un problema di entità nazionale.
L’erosione del suolo fu tale da portare molte famiglie a dover abbandonare le fattorie.
Le foreste coprivano appena l’1% del territorio (e non se la passavano nemmeno benissimo).
Fu così che nei primi del 1900 nacquero il Servizio forestale islandese e il Servizio di Conservazione del suolo d’Islanda.

Cominciarono a proteggere le foreste rimaste ed introdussero conifere esotiche.
Fece la sua comparsa, come metodo per contrastare l’erosione in islanda, anche il tanto discusso lupino dell’Alaska, adesso considerato invasivo (leggi di più sulla “guerra dei lupini” in questo articolo).

Gli sforzi iniziarono a pagare: secondo l’indice di vegetazione normalizzato (NDVI) dal 1982 ci sono stati effettivi miglioramenti. Nonostante questo, però, c’è ancora tantissimo da fare per tutelare il suolo islandese.

Nel 1990 è stato lanciato il Bændur Græða Landið (i fattori guariscono la terra): un programma grazie al quale fattori volontari condividono i costi per ripristinare, per quanto possibile, le proprie terre ormai degradate. Attualmente partecipano circa il 25% degli allevatori di pecore presenti sull’isola.

Regolamenti e pascolo

Come abbiamo visto in questo articolo dedicato, le pecore passano il periodo freddo all’interno delle stalle e quello “caldo” all’aperto, libere al pascolo.
Lo spazio nel quale le pecore pascolano indisturbate varia dai cento chilometri quadrati agli oltre cinquemila.
Solitamente sono aree delimitate da confini naturali (fiumi, ghiacciai…) ma spesso si ricorre anche a recinti, soprattutto in prossimità di strade.
Un tempo non era così.
Nessuno aveva abbastanza fieno da poter alimentare il gregge per tutto l’inverno, dunque si aprivano le porte dell’ovile al mattino e fino alla sera si lasciava che gli animali uscissero e mangiassero tutto il possibile. A causa di questa abitudine vennero danneggiate tantissime piante legnose che gli ovini erano costretti a consumare in mancanza d’altro.

Nel 1980 fu introdotta una quota bestiame ed il numero di capi per allevatore diminuì sensibilmente: si arrivò ad avere la metà delle pecore di quelle presenti nel 1977.
Nel 2000 gli allevatori e il governo sono giunti ad un accordo per il pascolo sostenibile: sono stati stanziati sussidi per chi dimostrava di mantenere i pascoli in buono stato.
Purtroppo però le regole consentono il pascolo anche su terreni malconservati a patto che sia stato fatto un piano per il miglioramento di quelle aree (e qui i cosiddetti “furbetti” ci hanno sguazzato un po’).

Gli esperti stanno ancora studiando per capire quante pecore può sopportare una determinata area di terreno in base al clima dell’estate precedente (e dunque alla crescita della vegetazione) ma la strada è in salita: molti allevatori hanno storto il naso quando si è proposto loro di delimitare una precisa area di pascolo o di ridurre il numero di animali.

L’associazione nazionale degli allevatori di pecore Landssamtök sauðfjárbænda ha aderito al programma per monitorare strettamente l’impatto ambientale che ha il pascolo sul suolo islandese. L’intento è quello di riuscire a permettere la crescita di nuova vegetazione in concomitanza con la presenza di ovini.

Coesistere è possibile

Si punta ad un allevamento di pecore sostenibile.
Più facile a dirsi che a farsi ma giorno dopo giorno in molti si impegnano affinché diventi realtà.
Negli ultimi decenni ci sono stati sostanziali cambiamenti nei principi della pastorizia ed è stata enfatizzata l’importanza di preservare la biodiversità e l’ecosistema.

Il cambiamento richiederà ancora tempo ma si vede già un po’ di luce in fondo al tunnel.

…dovremo cambiare le nostre abitudini e le nostre opinioni. È una sincera preoccupazione, perché usiamo questa terra per guadagnarci da vivere. È nostro dovere prendercene cura, conservarla e migliorarla. Dobbiamo imparare a leggere meglio il territorio ed intraprendere azioni appropriate ove necessario, anche se dovesse significare non mandare più le pecore in alcune aree degli altipiani.
Non sono un sostenitore dell’abbandono della pastorizia, soprattutto nelle zone più remote nelle quali pe possibilità di occupazione sono scarse, ma dovremo trovare modi diversi per tutelare quella che è la nostra terra.
Penso che le cose stiano già cambiando. Siamo più consapevoli dell’importanza della gestione delle risorse in modo sostenibile.

Unnsteinn Snorrason (Landssamtök sauðfjárbænda)

Cosa possiamo fare noi visitatori?

Foto AFP

Regola numero uno per non contribuire all’erosione in Islanda: guardate dove mettete i piedi.
Seguite sempre i sentieri marcati e fate caso alla presenza di piccolissimi arbusti.
Da noi potrebbe sembrare poca cosa calpestarne uno ma tenete in mente che potreste distruggere con un passo della vegetazione che ha impiegato anni ad arrivare a quel punto di sviluppo.

Vi sarete sentiti ripetere mille volte, giustamente, di non calpestare i muschi.
Prestate la stessa attenzione nei confronti di altre piccole pianticelle che potrebbero passare inosservate.

Se poi voleste aiutare a riforestare, vi segnalo Plant a tree in Iceland: un progetto nato a fine 2019 grazie al quale potrete donare alberi da piantare.

Sono molte le associazioni e i Tour Operator che organizzano giornate di lavoro per chi volesse partecipare direttamente alla reforestazione ma al momento, causa COVID, è tutto in pausa.
Sarò felice di darvi info a riguardo quando il turismo riprenderà a gonfie vele!

Vi avviso: io stessa ho partecipato con gioia a giornate simili ma…le piantine sono morte tutte.
Che delusione non ritrovare “i miei” arbusti!
Non per questo, però, bisogna arrendersi. Ne muoiono 1000? Ne ripianteremo 10.000!
Il futuro è verde.
Verde speranza.


    Fonti:
The Herbivory Network herbivory www.lbhi.is
Holocene history of landscape instability in Iceland: Can we deconvolve the impacts of climate, volcanism and human activity?, Quaternary Science Reviews, 10.1016/j.quascirev.2020.106633, 249, (106633), (2020).
An integrated approach to studying the genesis of andic soils in Italian non-volcanic mountain ecosystems, CATENA, 10.1016/j.catena.2017.07.022, 159, (35-50), (2017).
Catastrophic soil erosion in Iceland Catastrofica Erosione in islanda: Impact of long-term climate change, compounded natural disturbances and human driven land-use changes, CATENA, 10.1016/j.catena.2012.05.015, 98, (41-54), (2012).
A. Arnalds 1987. Ecosystem disturbance and recovery in Iceland. Arctic and Alpine Research 19:508–513